“Soltanto un nuovo inizio”
Penelope stava
osservando la propria immagine nello specchio. L’oggetto era diagonalmente
diviso da una spaccatura, conseguenza di una notte in cui cercò di scappare dal
padre.
“Meglio così” pensava “in questo modo non posso vedermi
interamente e osservare il mio stupido corpo”.
Cercava di nascondere una ferita sul collo con un foulard, che spostava non
appena si fosse accorta che la lesione si vedeva ancora.
Sistemata la sciarpa, si esaminò ancora una volta. Si girò di profilo, poi
tornò alla posizione precedente.
Odiava vedere la sua silhouette così enormemente grossa, così… larga. Le uniche
parole che le venivano in mente erano quelle, accanto a brutta e cicciona.
Mancavano altri quindici minuti e sarebbe arrivato lo scuolabus. Era il primo
giorno di scuola, non poteva ritardare.
Non vedeva l’ora di uscire da quella casa, anche se era più che consapevole
che usciva da un girone dell’inferno per entrarne in un altro, catastrofico, se
non peggiore.
Uscendo dalla porta, la madre le diede qualche spicciolo per comprarsi la
merenda. Si teneva quei soldi per acquistare i regali di compleanno per la
genitrice e la sorella; il cibo che le davano in mensa era più che sufficiente.
Scese velocemente e in pochi minuti si trovava già davanti al pullman. Come
sempre, era destinata a sedere in prima fila, accanto all’autista, per essere
lontana dai bulli che maltrattavano i ragazzini che cercavano di far capire ai
prepotenti che anch’essi sono forti.
Non lo erano, naturalmente. Non che gli spavaldi fossero più potenti degli
altri, ma era chiaro che se iniziavi a controbattere ciò che ti riferivano,
finivi nei guai.
Penelope non aveva voglia di entrare in discussioni senza fine, che, anche se
si concludevano, lo facevano nel modo più crudele possibile.
Da dietro si sentivano le urla e gli schiamazzi degli altri, qualche battutina
sciocca e le risate che ne seguivano. Voleva uscire da là al più presto.
Trascorse il viaggio avvolta nei suoi infiniti pensieri.
Scesa dall’autobus, si avviò per il corridoio tentando di raggiungere il suo
armadietto.
Adorava entrare fra i primi a scuola. Non c’era quasi nessuno e avrebbe potuto
camminare in pace.
Quell’odore l’affascinava. L’odore di scuola e di libri, di pavimenti lavati di
fresco e di vecchie cartine appese a muri riverniciati qualche giorno prima.
Passeggiava pensando che fra qualche anno se ne sarebbe andata, per frequentare
il college.
Il college. Suonava pure strano. Effettivamente, quello era solamente un sogno:
la madre non se lo poteva permettere, poiché lavorava da sola.
Le rimaneva sognare… in fin dei conti, sognare è l’unica cosa che poteva fare
liberamente.
Entrò nella sua aula. Alla prima ora avrebbe avuto storia.
Si accomodò, come al solito, al suo posto accanto al termosifone, sicura che
avrebbe passato anche quel giorno da sola.
Invece, proprio mentre stava per suonare la campanella, un ragazzo si sedette
vicino a lei.
Forse perché non c’erano più posti. O forse era rimasto colpito da Penelope?
Lo fissava, senza farlo capire
direttamente. Un paio di volte i loro sguardi si sarebbero incrociati, ma
niente di più.
Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, quel ragazzo aveva l’anima
più pura che lei avesse mai visto in vita sua.
Matthew. Aveva anche un bel nome.
Ma, era così “puro” come Penelope pensava che fosse?
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