I suoi occhi erano per
Penelope qualcosa di sovraumano. Quel blu,
che andava a fondersi nelle tonalità
di grigio chiaro e verde oliva
facevano sì che affogasse in quell’oceano di
bellezza.
Se ne era accorto, che lo stava osservando. Ciò gli trasmetteva una strana
sensazione di disagio, ma adorava il fatto che qualcuno ponesse attenzione
anche a lui, una volta tanto.
Matthew era il solito studente nuovo.
In quei sedici anni, quasi diciassette, aveva probabilmente cambiato almeno
dieci scuole, cosa che gli faceva
perdere ogni speranza che nutriva a proposito di stringere amicizie. Tanto, a
cosa servivano quegli amici? Si sarebbe trasferito di nuovo, centinaia di
chilometri più lontano, e non li avrebbe mai più rivisti.
Aveva scelto il suo posto a caso. Ma ora Penelope lo incuriosiva in una maniera
indescrivibile.
I loro sguardi si incrociarono per un paio di secondi. Matthew sorrise, mentre
Penelope abbassò lo sguardo.
“Il
solito ragazzo che inizierà a prendermi in giro non appena l’ora finisce” pensò tra sé e sé.
Un brivido le percorse il corpo. Pensava troppo, doveva concentrarsi sulla lezione
sui bolscevichi e menscevichi.
Suonò la campanella per segnare il cambio d’ora. Sorrise e rimase fermo a
guardarla.
Quella ragazza, fisicamente, non lo attirava troppo, ma aveva imparato a non
giudicare le persone per come apparivano a prima vista. Doveva conoscerla,
prima di poterla definire “brutta”.
-Io sono Matt, piacere.- le pose la mano, per stringergliela. La sua mano, così
enorme, a prima vista pareva quasi deforme. Quella minuscola della ragazza,
dentro la sua, appariva come un piccolo granello di sabbia.
-Penelope…-
Non aggiunse altro. Per la verità, non ne aveva tempo.
In classe entrò quello che riconosceva come il vecchio Clark, il severissimo
professore di algebra.
Quell’uomo era famoso per il semplice motivo che prendeva di mira tutti i nuovi
arrivati, accanto al fatto che bocciava la maggior parte dei suoi studenti. Lo
divertiva essere detestato da tutti. Dovevano fare un silenzio tombale, per non
essere ripresi e portati in presidenza.
Dopo due lunghe ore, passate senza pronunciare nemmeno una parola, la
campanella annunciava il pranzo.
Penelope si avviò per il corridoio, dovendo subire le urla e gli urti degli
altri. Mise i suoi libri nell’armadietto e scese in mensa, non accorgendosi che
qualcuno la stesse seguendo.
Preso il vassoio e il cibo, si accomodò all’unico tavolo che trovò vuoto.
Ad un tratto, sentì una voce provenire dall’alto.
Lo spilungone che per tre ore le era stato vicino adesso era davanti a lei, a
pronunciare quella frase che le fece battere il cuore all’impazzata:
-“Posso sedermi qua vicino a te?”-
-Certo.-
-Sai, sei la prima ragazza che vedo che non ha scambiato con me nemmeno tre
parole intere. Penelope, giusto? Credo che ti chiamerò Poppy. O Penny? Quale
preferisci?- adesso la stava guardando seriamente.
Lei non riusciva a rispondere. Forse perché qualcosa impediva alla sua voce di
uscire, di parlare normalmente.
Era la prima volta che un ragazzo come Matthew si stava rivolgendo a lei, non
poteva rovinare tutto con il suo essere… così “Lei”.
Doveva cambiare. Sentiva che doveva farlo. Come? Non lo sapeva ancora.

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